Ricordati di vivere: riflessioni di una “vetusta” psicologa sul tema della morte

di Wally Capuzzo

Questo articolo tratterà della morte. Fin da giovane non solo come psicologa, mi sono trovata ad affrontare questo difficile tema, che accompagna tutta la nostra vita. Di solito si evita di pensarci, a meno che non ne siamo coinvolti per la scomparsa di un parente, un amico, un  vicino. In realtà nella misura in cui nasciamo, siamo destinati a morire, prima o poi. Spesso facciamo come gli struzzi. Qui parlerò delle esperienze personali e professionali e delle mie riflessioni in merito. Mi auguro che tali pensieri possano essere di aiuto ad altri più o meno giovani psicologi, insegnanti, genitori che, in quanto adulti, devono poter maturare una visione sulla vita e sulla sua fine, special mente quando hanno a che fare, a qualsiasi titolo, con dei bambini.

Parole chiave: elaborazione del lutto, resilienza, rimozione, razionalizzazione.

This article will deal with death. From a young age as a psychologist I found myself facing this difficult topic, which accompanies our whole life. We usually avoid thinking about it unless we are overwhelmed by the disappearance of a relative, a friend, or a neighbor. In reality, to the extent that we come into the world, we are destined to die sooner or later. Here I will talk about personal and professional experiences and my reflections on them. I hope that these thoughts can be of help to other young psychologists, teachers, parents who, as adults, must be able to develop a vision of life and its end, especially when they are involved in any way with children.

Keywords: mourning processing, resilience, removal, rationalization.

Wally Capuzzo è psicologa e psicoterapeuta. Ha svolto per quaranta anni la propria attività nei Servizi Pubblici in Lom­bardia. Socio fondatore e docente dell’Istituto Psicoterapia del bambino e dell’adolescente di Milano.

Io me ne vado lascio gocce sull’erba per chi le berrà.
K. Cavatorta

PORTARE LA PAROLA

Wally mi puoi dare una mano per una situa­zione un po’ difficile?”, è la richiesta che mi ha rivolto, più di quarantacinque anni fa, una bravissima pediatra, con cui ho collaborato per moltissimi anni.

Si trattava di Paolo, di quattro anni, con ge­nitori molto competenti e adeguati. Fino il giorno prima il bambino, aveva “goduto” di un nonno ma­terno, Mario, da sempre molto presente nella sua vita: lo accompagnava a scuola e ai giardini, gli raccontava le favole, parlava e giocava molto con lui. Era molto presente nella famiglia del nipotino pur abitando in un altro quartiere. Il nonno era una persona molto responsabile, molto amato, di cui i genitori di Paolo si fidavano ciecamente.

Il giorno prima il signore aveva avuto un ictus, in casa della figlia, in presenza del nipotino. Era stato portato in ospedale a sirene spiegate spro­fondato in un coma profondo. C’erano pochissi­me speranze che potesse sopravvivere e, se ciò fosse avvenuto, Mario sarebbe rimasto grave­mente defedato con importanti conseguenze sia fisiche sia mentali. I genitori non sapevano come parlare al bambino della situazione. Paolo non aveva chiesto nulla e si chiedevano: “ Perché?”

I bambini sono molto più saggi di noi adul­ti, a volte non fanno domande perché “sento­no” che noi “grandi” saremmo in difficoltà nel rispondere loro.

Ho dato la mia disponibilità a vedere la mam­ma e il papà di Paolo per il giorno successivo. L’appuntamento viene disdetto con una telefona­ta dal padre che mi comunica l’avvenuta morte del nonno. La madre di Paolo è molto provata e il bambino è alla scuola materna. Il signore mi chie­de se deve andarlo a riprendere. Io consiglio di lasciarlo in classe fino alla fine dell’orario abituale. Gli suggerisco di essere molto vicino alla moglie e gli consiglio di andare personalmente a prendere Paolo a scuola, portarlo ai giardini, comunicargli in modo affettuoso la morte del nonno facendo merenda insieme. Il padre mi chiede se portare il bambino al funerale. Io rispondo che, a mio pare­re, ciò sarebbe opportuno, ma che devono valu­tare loro cosa fare. Il signore mi richiama due gior­ni dopo per dirmi che Paolo ha voluto lui andare a scuola il giorno del funerale. In realtà la decisione è della madre che, essendo molto sofferente, ri­teneva che la cerimonia funebre potesse turbare il piccolo. Io avevo suggerito al padre fin dalla prima telefonata, di informare l’educatrice della scuola materna del decesso del nonno. La maestra, par­la in classe con tutti i bambini della morte.

Quando il padre va a riprendere Paolo, alla fine della giornata delle esequie, il bambino dice: “Dobbiamo dire alla mamma di non piangere abbiamo parlato con la maestra Giulia e abbiamo scoperto che anche il suo nonno è morto e anche il cane di Federico e il vicino di casa di Andrea. Adesso loro sono tutti insieme, si fanno compa­gnia e ci aspettano per quando anche noi saremo vecchi e andremo a raggiungerli”.

Questo è uno dei tanti episodi, che han­no costellato la mia vita di psicologo dei servizi pubblici di Igiene Mentale della città di Milano.

Ed è anche uno dei motivi per cui mi sono occupata e ancora oggi mi occupo della morte. Tema molto importante nella nostra vita, particolarmente nella mia professione, che esercito da più di cinquant’anni.

È un tema non facile, molto intrigante con cui confrontarsi. Spesso facciamo “ gli struz­zi”. Sappiamo razionalmente che la morte c’è e che, prima o poi, moriremo ma di solito evitiamo di soffermarci col pensiero e facciamo “come se” non esistesse; salvo poi rimanerne travolti quando questo triste evento ci colpisce diret­tamente o indirettamente o ci viene richiesto un aiuto a livello professionale.

Ricordo un altro episodio drammatico: le educatrici di un asilo nido comunale che seguivo settimanalmente, mi informano che, due settima­ne prima era morto il papà di Federico, un bam­bino di due anni che frequentava il nido da sei mesi. Il fatto era avvenuto due weekend prima. Il padre, che era andato a trovarli al mare, guidava la moto che la compagna gli aveva regalato per il suo quarantacinquesimo compleanno e ha avu­to un incidente mortale in autostrada. La madre di Federico ha già figlie adolescenti di diciassette e vent’ anni, nate dal precedente matrimonio. In questa circostanza, le sono state molto vicine e si sono occupate del fratellino, rimanendo al mare con lui. Federico è rientrato regolarmente al nido la settimana successiva.

Piccolo particolare di cronaca: c’è già stato il funerale cui il bambino non ha partecipato; non solo, nessuno lo ha ancora informato della morte del suo papà. La madre non è riuscita a dirglielo.

Io suggerisco all’educatrice di farmi chiamare dalla signora, che lo fa nel giro di poche ore. Ri­esco a incontrarla il giorno dopo: è venerdì. Pas­siamo lungo tempo assieme; la signora sta molto male. La conforto per quello che posso, ma le comunico anche l’importanza e la necessità che lei riesca a comunicare a Federico quanto è suc­cesso. Lei mi detesta profondamente per le mie indicazioni. Le dico che, se lei non ci riuscirà nel fine settimana, la rivedrò lunedì con il bambino per parlargli insieme. La signora mi telefona all’ora dell’appuntamento per comunicarmi che, sabato mattina, è riuscita a parlare con Federico, il bam­bino le ha detto: “lo sapevo già!”.

In realtà non era riuscita, fino da allora, a in­formare il figlio perché lei stessa non ce la faceva ad accettare la morte del compagno. Non dirlo a Federico era un suo modo per negare l’accaduto.

I bambini, in effetti, sono più “ maturi” di quanto i “grandi” pensino. Sono anche molto più realistici e concreti di noi, comprendono anche quello che non diciamo. Hanno le antenne per cogliere quanto succede intorno, di là di quello che riusciamo a comunicare loro con le parole. Sembrano accettare le nostre banali spiegazioni ma se non si dice loro la verità, lo percepiscono benissimo. Come già scritto, spesso non fanno domande e apparentemente accettano passi­vamente quanto diciamo. Percepiscono che la verità è altra! Magari razionalmente non riescono a dare parola a quello che sentono, ma “sanno” che nascondiamo loro qualcosa. Questo fa loro molto male e può indurli a non fidarsi più di noi.

Le cose spiacevoli (malattie, morte, sepa­razione, ecc…) che mandano in crisi noi adul­ti, vanno comunicate ai bambini nel modo più semplice e tollerabile per loro, senza necessa­riamente entrare nei minimi particolari. Siamo noi adulti ad essere in difficoltà a parlare con i bambini, soprattutto delle cose che per noi sono difficili da elaborare.

Spesso suggerisco di raccontare delle fia­be, possibilmente inventate appositamente, per parlare di cosa è successo o sta accadendo. I protagonisti devono essere degli animali che affrontano momenti difficili, come quelli che si stanno attraversando. Le favole devono finire sempre bene, ma non in modo miracolistico. La madre che è defunta, resta morta ma rimane presente nella vita del cucciolo per proteggerlo, anche se lui non può più vederla, annusarla e toccarla.

Questo vale anche per altri fatti più o meno importanti (oltre alla morte, separazioni, malat­tie, operazioni chirurgiche, traslochi, furti…).

Il più delle volte i bambini dopo la narrazione di una favola possono commentare: “Come è successo a me!” oppure, immagazzinano il con­tenuto e sono pronti a recepire quello che verrà detto loro successivamente, sui fatti reali. Per noi adulti, inventare e raccontare su “ misura” al bambino, oppure adattare una fiaba, può esse­re un modo per rendere la realtà più tollerabile anche a noi stessi. Del resto le favole, soprat­tutto quelle classiche, da sempre raccontano e trattano i temi della vita e della morte e finiscono comunque bene, nonostante le avversità: la vita continua, deve poter continuare, anche se certi momenti possono essere molto duri, difficili!

Nella nostra società attuale, centrata sul benessere e il consumismo, sembra che i temi della sofferenza non debbano esistere. Quando capita qualcosa che irrompe nella nostra vita, ne restiamo spesso sconvolti, non ci sembra giu­sto, ci chiediamo: “Che cosa ho fatto di male? Perché a me?”. Ci diciamo che non è giusto e ci sembra che ci sia capitato qualcosa che non doveva succedere. In realtà la vita è cosi. Va vis­suta, momento per momento, accettandone la realtà, a volte spiacevole.

Quando mettiamo al mondo un figlio, nasce una creatura che è destinata a morire. I sogni del­le madri in gravidanza ce lo dicono di continuo. In realtà, se decidiamo di avere un figlio lo facciamo perché, nel profondo, crediamo nella vita e nei suoi valori. Se ci pensassimo fino in fondo magari potremmo scegliere che non ha senso di mette­re al mondo un altro essere umano. Quando de­cidiamo scientemente di concepire un figlio, nel profondo abbiamo la sensazione di continuare a vivere in eterno, attraverso di lui.

“Beati i genitori che premuoiono ai figli” dice il saggio Confucio.

Nella logica delle cose si muore da vecchi, senza soffrire. Nella realtà non è sempre cosi. Noi evitiamo di pensarci a meno che questo even­to terrificante non capiti nella nostra famiglia o alle persone a noi vicine. È come se negassimo emotivamente, a volte anche razionalmente, l’e­sistenza e la realtà della morte. Per questo moti­vo, spesso evitiamo di collegare disagi e sintomi dei bambini ai fatti che ci accadono.

Una giovane madre laureata toscana, trasfe­ritasi a Milano per lavoro, chiede di parlarmi nella sala di attesa del consultorio pediatrico portando le difficoltà che Costanza, la sua primogenita di quasi tre anni, manifestava da qualche tempo: faticava a dormire, si svegliava piangendo, era diventata capricciosa ed inappetente. La pedia­tra del consultorio riteneva che la bambina fos­se sana a livello fisico e pensava che le difficoltà comportamentali fossero la conseguenza di pro­blematiche psicologiche.

A giugno era nato un fratellino, Marco e la signora era rimasta in Toscana con i due bambini durante i mesi estivi con i propri genitori nella casa di campagna. La bambina durante quel periodo, non aveva mostrato alcun disagio. Al rientro a Mi­lano, pur essendo la madre rimasta a casa con lei e il fratellino, aveva manifestato il suo malessere in maniera crescente. Incontrerò successivamente la madre e il padre tutti i due molto preoccupati per la piccola Costanza. Un mese dopo, in un colloquio con entrambi i genitori è emerso un fat­to di cui non mi avevano ancora parlato: in luglio era morta Maria, sessantacinquenne loro vicina di casa, una specie di nonna adottiva, molto pre­sente nella vita della loro famiglia. Questa signora vedeva giornalmente Costanza, affidata alle cure della domestica filippina quando loro erano al la­voro. Maria passava molto tempo con la piccola e spesso faceva loro trovare dei manicaretti pronti. Erano così soddisfatti e felici della loro situazione da cercare un secondo figlio. Arriveranno a dire: “Se avessimo saputo che Maria sarebbe morta, non avremmo programmato Francesco”

Con Costanza non avevano mai più nomi­nato Maria e non avevano nemmeno più visto il marito della signora perché era troppo sofferente ed era doloroso per loro incontrarlo. Fino a quel momento, non erano quasi più riusciti ad affronta­re l’argomento fra loro. Ho successivamente par­lato in loro presenza con Francesco e Costanza di Maria. Ho detto al bambino che era un peccato che non avesse conosciuto la Signora che era molto brava e molto buona. Successivamente ho comunicato a Costanza che non avrebbe più rivi­sto Maria perché non c’era più, non perché fosse arrabbiata con lei: “Era proprio morta!”. I genitori erano commossi entrambi; la mamma piangeva e la bambina ascoltava in silenzio, con molta at­tenzione. Successivamente, Costanza si è “quasi magicamente acquietata”.

Tra i temi difficili di cui parlare ai bambini sicuramente uno dei più ardui da affrontare è quello del lutto e in genere dei fatti traumatici della vita. Per tutti è estremamente difficile parlare della morte con “i piccoli”. Districarsi in questo ambito tanto complesso non è facile. Il silenzio e le negazioni, nelle varie forme, regna¬no sovrani. È importante e utile dedicare uno spazio di riflessione per capire e comprendere che cosa succede “ai grandi” (genitori, psicologi, docenti, educatori …) per essere di aiuto ai bambini e alla parte “piccola” dei “grandi”.

Alba Marcoli, riprendendo alcuni concetti di Bowlby, dice che se un bambino che perde un genitore, viene accompagnato dagli adulti che lo circondano in modo paziente e rispettoso dei suoi tempi, dei sentimenti ed emozioni, è più facile che possa attraversare il suo dolore dall’inizio alla fine, uscendone non solo integro, ma spesso anche rinforzato. Il suo lutto sarà elaborato. Quando invece questo non succede, per qualsiasi motivo, ma soprattutto per il tipo di funzionamento mentale che entra nel gioco relazione adulti-bambini, è possibile che il lutto non venga elaborato e si trasformi in un trauma: non per cattiva volontà di qualcuno ma perché l’ambiente circostante non è stato in grado di aiutarne l’elaborazione. Affinché questa possa avvenire è necessario che gli adulti intorno accompagnino l’esperienza di perdita riconoscendola, dandole parole e condividendo il dolore del bambino, per non lasciarlo da solo con emozioni più grandi di lui che, difficilmente, è in grado di rappresentarsi nella mente trasformandole in pensieri. Una cosa pensabile fa meno paura, terrorizza di meno.

È importante che il tema della morte e dei distacchi venga affrontato con i bambini anche di fronte a perdite di animali. Dire che l’uccellino è volato via o il cane è scappato, che il gatto è stato rubato, quando nella realtà c’è stato un decesso, è mistificante.

I bambini possono e debbono affrontare queste esperienze che sicuramente li faranno soffrire e magari piangere (può succedere anche a noi “grandi”). Accudire l’animale amato, seppellirlo e accettare che non viva più è un modo per crescere e poter elaborare successivamente lutti più importanti.

Giovanna, una signora che ho seguito per molto tempo, quando morì il marito, affetto da un tumore, mi disse:” Meno male che lei Wally, due anni prima, mi aveva fatto seppellire la nostra gat­ta con Titti la mia bambina di otto anni. Io allora non capivo perché dovessi far soffrire la mia pic­cola. L’ho fatto perché me l’ha consigliato lei, ma non ne ero proprio convinta!”

Io ricordo che, essendo vissuta in campagna, ho avuto la fortuna di essere a contatto con la vita degli animali. Noi bambini avevamo adottato un cane bruttissimo, Leo, che amavamo moltissimo e a cui davamo di nascosto tutto il cibo possibile. Ad un certo punto è morto, forse per indigestione. Abbiamo pianto tutti, dal più piccolo che sei anni a quello di dodici. L’abbiamo sepolto sotto una vigna, scelta con cura, con una scatola di legno. Abbiamo messo una croce, fatta da noi e gli ab­biamo portato dei fiori per molto tempo.

A distanza di settant’ anni me lo ricordo an­cora. Di recente sono stata al mio paese natale e ho scoperto che alcuni dei miei compagni di gioco di allora si ricordavano anche loro di Leo.

I riti che accompagnano la morte, cerimo­nie varie a seconda delle religioni, e usi e costu­mi, servono ad aiutare a separarsi dalla persona che è mancata. Partecipare aiuta ad accettare la realtà. Concita De Gregorio, in un suo libro, dice che lei può non andare alle cerimonie nu­ziali, ma non si perde un solo funerale. In effetti ha ragione!

I funerali sono occasioni molto più impor­tanti, ci si rivede con le persone del nostro più o meno lontano passato: “amarcord” con i co­noscenti che ritrovi e cui, forse, non ti rivedrai mai più. Colleghi le tue esperienze passate con il presente e con la consapevolezza della realtà della morte, il più delle volte, in modo non solo triste. Spesso bere o mangiare insieme conclu­de questi incontri che possono essere molto in­tensi e perché no? “Piacevoli”.

Ricordo un pranzo dopo il funerale della mia ultima zia materna. Ho sentito che non potevo non partecipare. Ero in vacanza in Puglia, ho attraver­sato tutta l’Italia, sono andata dal parrucchiere e mi sono messa il vestito più carino (mia madre mi aveva sempre insegnano che ai funerali si doveva andare in ordine!).

Ho ritrovato i miei cugini e i loro amici con cui avevo giocato da piccola, e che, in altre cir­costanze,non avrei mai riconosciuto. È stato un pranzo “speciale”: ce lo ricordiamo tutti. Abbiamo anche pianto ma soprattutto riso e scherzato, ri­cordando le cose belle che si erano fatte insieme.

IL LUTTO E GLI OPERATORI SANITARI E SOCIALI

Le difficoltà ad accettare la fatalità della morte riguarda anche il personale sanitario, so­ciale ed educativo (medici, psicologi, insegnan­ti, educatori). Cominciamo con i medici e il per­sonale sanitario degli ospedale. Nel bellissimo libro di Eric Schmitt “Oscar e la dama in rosa” viene espresso molto bene quello che il pazien­te prova nell’affrontare l’ultima parte della vita. Nel testo Oscar è un bambino di circa otto anni, che si chiede cosa gli stia succedendo, dice che nessuno risponde alle sue domande. Tutti si imbarazzano e cambiano discorso.

In effetti per rispondere a chi ti chiede: “Come sto? E che cosa mi stia succedendo?” può essere molto facile se la situazione è sotto controllo e con una prospettiva di guarigione, non lo è altrettanto se invece la prognosi è in­fausta. Di solito l’interrogato resta nel vago, si arrampica sugli specchi e il più delle volte si cambia discorso. Questo succede normalmen­te con i bambini.

Schmitt dice, attraverso il bambino, che un malato che non è destinato a guarire delude, manda in crisi, mina la tua onnipotenza, ti fa sentire colpevole e non capace.

Ad un incontro con operatori sanitari molto competenti (erano medici e psicologi), una ema­tologa ha parlato della sua esperienza con una paziente che stava seguendo da otto anni e che era morta quando lei era partita per le vacanze. Si sapeva che la signora non poteva guarire per la sua grave malattia ma nei giorni immediatamente precedenti alla partenza della curante, la malata era un po’ migliorata. La sua morte aveva profondamente toccato la dottoressa. Sapeva che sa­rebbe successo ma l’evento l’aveva colpita molto profondamente. Ha detto: ”Meno male che ero in vacanza, non sarei stata capace di occuparmi di altri ammalati. Si sentiva colpevole di “aver creato tre orfani”. La signora deceduta aveva infatti tre figli, l’ultimo di otto anni era stato concepito subito prima della scoperta della malattia. C’erano sta­te delle perplessità sul poter continuare la gravi­danza. La dottoressa aveva sostenuto il desiderio della paziente di mettere al mondo un altro figlio.

Si è lavorato nel gruppo sul fatto che era sta­ta la vita a creare tre orfani e che lei, la curante, aveva solo aiutato la madre a continuar a vivere al meglio possibile per altri otto anni. La dottoressa si era molto affezionata alla paziente e diceva che soffriva moltissimo e la sognava tutte le notti. La sera prima dell’incontro di gruppo dice che il so­gno era cambiato: c’era sempre la sua paziente come oggetto, ma invece di vederla ne parlava con sua madre!

Era evidente che stava uscendo della fase acuta dell’elaborazione del lutto che, come vedia­mo, colpisce anche i curanti.

Da anni tengo incontri mensili con medici e psicologi che lavorano nello stesso reparto, proprio per elaborare insieme anche le emozio­ni e i sentimenti connessi alla cura. Per i primi sei anni il gruppo era esclusivamente femminile. Qualche volta si affacciava un collega medico che poi spariva velocemente. Solo negli ultimi mesi si comincia ad avere qualche uomo in più.

La “Cura” per sua connotazione anche sto­rica è legata al femminile. Da sempre, in tutte le culture, sono le donne ad occuparsi dei bam­bini, dei vecchi, dei sofferenti. Solo di recente i padri si sono affacciati al mondo dell’infanzia. Attualmente si occupano in genere di più dei fi­gli, inizialmente soprattutto per motivi economi­ci. In questo momento storico molti padri hanno scoperto il piacere e la fatica di accudire i propri figli, anche se spesso rischiano di diventare “dei fratelloni”.

Tornando alla cura, è la parte femminile quella affettiva, che hanno anche gli uomini e subentra quando si cura non solo a livello tec­nico e meccanico. Si può accudire fisicamente un bambino in modo igienico e distaccato, ma di solito, entra in gioco la parte affettiva e rela­zionale. La stessa cosa vale nell’accudimento di una persona anziana o di un malato. È per questo che è molto importante che anche gli infermieri vengano supportati (andrebbe fatto anche con le baby-sitter e le badanti).

Svolgere una professione di cura non vuol dire essere sempre consapevoli e competenti al livello emotivo sui fatti della vita. Esercitare la professione di medico, specialmente in alcuni settori, espone al rischio di conflitti interni e mo­menti di angoscia destabilizzante.

Ricordo una bravissima anziana pediatra, pri­maria di un reparto di prematuri ad alto rischio, che mi confidava come le giovani colleghe femmine difficilmente restavano nel reparto più di sei mesi. I bambini quando non morivano, sopravvi­vevano spesso defedati. I colleghi maschi regge­vano un po’ di più, in genere due anni e con lei erano rimasti stabili soltanto due aiuti uomini.

E GLI PSICOLOGI?

Non è che il problema non tocchi gli psico­logi anche quando sono psicoterapeuti.

Da molti anni ho realizzato come sia difficile trovare qualcuno in ambito privato che prenda in carico pazienti con grave patologie o con ma­lattie incurabili. Lo fanno di solito solo gli opera­tori che lavorano presso istituzioni preposte.

Mi è capitato a lezione, in una scuola di psi­coterapia, che un allievo, dipendente da un ASL dicesse: ”Meno male che non è capitato a me”. Si trattava di un delitto (una signora aveva ucciso un’amica, madre di una compagna di scuola della figlia e l’ASL aveva chiesto che uno psicologo intervenisse sul caso). Naturalmente ho redarguito il collega. Successivamente ho discusso a lun­go con gli allievi sulla situazione. Tutti gli psicologi che lavorano con le istituzione dovrebbero essere pronti ad intervenire, supportandosi a vicenda e, se serve, facendosi sostenere da qualcuno di più esperto, nel caso non si sentissero competenti.

Non si può fare lo struzzo di fronte ai fatti della vita soprattutto se si svolgono funzioni so­ciali o di cura.

Durante il periodo estivo, è deceduta una collega di cinquant’anni, madre di tre figli. Era stata rico­verata per una colica, aveva un tumore in fase progredita, nessuno se ne era accorto ed morta cinque giorni dopo. La cosa ha sconvolto la fa­miglia, gli amici e i colleghi. Una di queste, molto amica della defunta, con cui condivideva lo stu­dio, mi telefona sconvolta annunciando il fatto. Io la supporto nel limite del possibile. Mi sono informata sulla famiglia e sui figli della defunta. Par­lo successivamente con un altro collega, meno turbato, che si era messa in contatto con me per avere dei suggerimenti su come intervenire con i bambini e su cosa leggere loro: di solito in questi casi suggerisco “Mattia e il nonno” di Roberto Piumini, che va letto o raccontato ai bambini (lo riten­go un buon testo per affrontare in modo sereno il tema della morte anche per noi stessi).

Tornando alla giovane collega, sconvolta ed angosciata per la scomparsa dell’amica, il che è più che comprensibile, scoprirò in seguito che in quei giorni aveva incontrato per caso la giovane paziente quindicenne della sua collega defunta e l’aveva abbracciata singhiozzando e informandola della morte della sua psicoterapeuta. La giovane, molto “più sana” della mia collega, ha telefonato al responsabile del centro dicendogli di trovarle un altro terapeuta ma segnalando che, a suo avviso, la dottoressa, che l’aveva informata stava molto male e che era urgente darle una mano!

È evidente che noi psicologi non possiamo e non dobbiamo riversare sugli altri le nostre difficoltà. Quando noi stessi siamo in crisi o in difficoltà, ci capita come a tutti, dobbiamo pren­derci del tempo fisico e mentale, nel limite del possibile, farci aiutare se serve e solo succes­sivamente essere disponibili ad occuparci degli altri che ci chiedono aiuto.

Ricordo una donna molto provata della vita (aveva avuto una figlia di cinque anni abusata dal marito, padre della bambina) che mi era stata inviata al Servizio del Tribunale dei minori. La si­gnora mi dice:” Dottoressa come sta? Guardi che noi abbiamo bisogno che lei stia bene perché ci possa aiutare”.

Era un momento molto difficile della mia vita, io ero molto provata e lei lo aveva colto.

Tutti possono avere momenti connotati da perdite, lutti, malattie che possono mettere a dura prova. L’importante è esserne consapevoli e cercare di non proiettare sugli altri i nostri ma­lesseri. Il lavoro su di sé è essenziale per poter essere abbastanza sereni e autentici nello stare con gli altri. Non a caso viene richiesta per il no­stro lavoro un’ analisi personale, che può essere più o meno lunga, ma che deve continuare tutta la vita, dentro di sé.

GLI EDUCATORI E IL LUTTO

Se si svolgono i lavori di tipo educativo (partendo dal nido fino all’università), ci si tro­verà prima o poi ad affrontare il tema della morte di genitori o parenti propri o degli allievi. Più i bambini sono piccoli (nido e scuola dell’infanzia) più è facile che l’educatore si metta in discus­sione e chieda aiuto su come intervenire e cosa dire ai bambini cui è toccata la perdita di un fa­miliare. Le educatrice sono più vicine ai piccoli e alle loro famiglie e si sentono parte in causa. Non ho mai avuto problemi a dare un supporto direttamente o indirettamente, di solito vengo compresa molto velocemente emotivamente e non solo razionalmente.

In un recente passato ho tenuto dei grup­pi con educatrici di tale fasce di età e parlare con loro della vita e della morte è stato estrema­mente facile e soddisfacente con buoni risvolti nell’ambiente di lavoro. Nei nidi e nelle scuole dell’infanzia si è creato spesso una “cultura” in tal senso che viene trasmessa naturalmente an­che alle educatrici che non hanno partecipato direttamente alla formazione.

È una cosa molto bella e gratificante. Senti che sei utile a qualcosa. Con gli insegnanti dalla scuola primaria e delle superiori è sempre più difficile portare contributi in questo campo.

Nell’ultimo anno di frequenza della scuola materna, al mio nipotino di cinque anni, nell’ulti­mo giorno di scuola, è successo che è morta la madre del suo compagno di classe. Le educatrici e alcune mamme hanno partecipato al funerale. Successivamente, nel giardino di una di loro, le due insegnanti hanno invitato per una merenda tutti gli alunni, compreso il bambino rimasto or­fano, che non avrebbero più rivisto a settembre. Hanno fatto giocare i bambini, hanno parlato con loro insieme a Federico della morte della sua mamma, assaporando le torte confezionate da loro.

A settembre, il primo giorno della scuola ele­mentare, lo stesso nipote si è trovato in classe con Federico. Le maestre al termine del primo giorno di scuola dicono ai bambini di far firmare una comunicazione alla propria mamma “Chi sa mai perché solo alla madre?”.

Mio nipote dice: “La mamma di Federico è morta”. Le maestre successivamente lo sgride­ranno e diranno a tutta la classe che da ora in avanti non si dovrà più dire la parola mamma in presenza di Federico e successivamente la festa della mamma non si farà!

Sollecitata da una giovane collega, madre di un alunno di quinta, una delle due maestre mi telefono per avere un aiuto: la rappresentante di classe ha un tumore in fase terminale e mi chie­de se c’è qualcosa da fare o da dire ai bambini. Io suggerisco come sempre “Mattia e il nonno”, consiglio loro di leggere il libro in classe, infor­mando i genitori. Quando la signora muore tutti gli alunni della classe parteciperanno al funerale. Ogni bambino ha scritto una lettera al compagno sfortunato. Scoprirò però che, anche qui, verrà annullata la festa della mamma per non turbare il bambino, creando così problemi a tutta la classe.

Anche quando si riesce a parlare della mor­te di qualcuno con i bambini, successivamente sembra quasi impossibile poter riprendere il di­scorso.

Ricordo un sacerdote mio amico che, quan­do gli ho chiesto notizie di due sorelline rimaste orfane di madre due anni prima. (Volevo inserirle gratuitamente in un gruppo di elaborazione del lutto che stavo organizzando). Mi ha risposto: “ Sono tranquille! Non ne parlano mai!”.

Ho trovato spesso, che molte famiglie non parlano dei lutti dei propri cari e di conoscenti, morti in un passato più meno lontano. Non se ne parla più con i bambini, avendo paura che possano soffrirne. È esattamente il contrario. I bambini sono “resilienti” e hanno la capacità di superare momenti difficili spesso più di noi adulti. Hanno però bisogno di poter dare parola a quello che sentono e lo possono fare solo se avvertono che noi adulti siamo disponibili.

Ho avuto delle discussioni accese con per­sone “molto” religiose che di fronte al bambino che piangeva perché aveva nostalgia del papà, dicevano che il loro genitore era stato molto bravo e che Dio lo aveva voluto con sé e che era felice e stava bene. Spesso poi il bambino viene portato a dire una preghierina davanti alla foto del defun­to, questo comportamento è assolutamente de­leterio e controproducente. Il bambino, trattato in questo modo, potrà solo detestare un Dio che gli ha portato via i genitori e si sentirà colpevole dei suoi sentimenti.

Ritengo che la risposta più adeguata alla sofferenza del bambino sia quella di permetter­gli di esprimere il suo dolore, unendoci al suo, magari piangendo anche insieme, per poi con­solarlo e consolarci, abbracciandolo e mangian­do insieme un bel gelato.

CONCLUSIONI

È per questo motivo che con un gruppo di colleghi da sette anni abbiamo istituito il proget­to: “Ricordati di vivere: riflessioni sul tema della morte” (vedasi allegato). Al suo interno vengono programmati e condotti gruppi di bambini dai sei ai dodici anni, rimasti orfani di padre o di ma­dre. In contemporanea si tengono gruppi paral­leli con i loro genitori ancora viventi.

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Schmitt E., Oscar e la dama in rosa, Roma, Edizioni e/o, 2015.

Winnicott D.W., I bambini e le loro madri, Mi­lano, Cortina, 1987.

L’articolo è tratto da INTERVENTI EDUCATIVI – Conversazioni sulla cura © Rivista di educazione e cura. Pubblicazione trimestrale Distribuita in abbonamento tramite internet. Viene qui pubblicato per gentile concessione dell’autrice e dell’Editore.

EDITORE
Francesco Caggio – Via A. Tadino 13,
20124 Milano
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Registrazione Tribunale di Milano
n° 95 del 08.04.2015
DIRETTORE RESPONSABILE:
Francesco Caggio
PROGETTO GRAFICO
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48018 FAENZA (RA)
ISSN 2499-1481

IMMAGINE DI COPERTINA:
La consistenza delle ferite,
di Agostino Ricci

COMITATO DI CONSULENZA SCIENTIFICA
Rosanna Abbatinali, Sant’Angelo Lodigiano
Biagio Belmonte, Riccione Barbara Bernardi, Riccione
Tiziana Bonfili, Roma
Ilaria Bosi, Argenta
Valentina Caggio, Faenza
Luca Chicco, Trieste
Anna Chiesa, Milano
Ombretta Cortesi, Villanova di Bagnacavallo
Carmen Dambra, Lainate
Massimiliano Fabbri, Cotignola
Elena Pasetti, Rezzato
Ivana Pinardi, Parma
Massimo Rabboni, Bergamo
Ester Sabetta, Montefiore Conca
Paola Tosi, Lodi
Simona Zandonà, Milano
IN REDAZIONE:
Rosanna Abbatinali

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Sollevare il sedere dal tappetino e tenere la posizione per 5 secondi, poi, senza abbassare il sedere, sollevare una gamba e rimanere in posizione per altri 15 secondi. Infine, abbassare lentamente la gamba e poi il bacino. Ripetere con l’altra gamba.

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Papà sei la mia roccia

Quante volte diciamo al nostro papà che è forte, un super eroe, una roccia. In questa festa glielo mostriamo con un regalo.

Occorrente:

  • UN SASSO delle dimensioni che preferite
  • TEMPERA dei colori che più vi piacciono

Mettiamoci all’opera

  1. Prendiamo il sasso e lo laviamo bene sotto l’acqua
  2. Asciughiamo bene il sasso
  • Prendiamo le tempere e o con mani o con pennello coloriamo tutto il sasso
  • Lasciamo asciugare e con l’aiuto della mamma o di un adulto possiamo fare il bigliettino “papà sei la mia roccia” da consegnare insieme al nostro coloratissimo sasso.

Ecco pronto il nostro sasso per il nostro super papà.

Grazie a questa esperienza i bambini creano.


Un Messaggio per Papà

Oggi è la tua festa e ecco un misterioso messaggio per te…

Occorrente:

  • carta
  • pennarelli o matite colorate
  • un nastro
  • una bottiglia o un barattolo
  • farina bianca o gialla o della sabbia
  • colla

Mettiamoci all’opera:

  1. prendiamo un foglio bianco non tanto grande e facciamo il disegno che ritrae noi con il nostro papà
  2. proviamo a scrivere qualcosa per il nostro papà:

        “auguri papà” “il vostro nome  & papà” “ti voglio bene papà”

Possiamo farci aiutare da un adulto se non conosciamo qualche lettera

  • arrotoliamo il disegno come una pergamena dei pirati
  • facciamoci aiutare da un adulto a legare con un nastro la pergamena
  • decoriamo la bottiglia o il barattolo con quello che vogliamo (adesivi colorati, pezzi di carta incollati, pesciolini disegnati e incollati, … )
  • mettiamo della farina sul fondo come la sabbia del mare
  • infiliamo la nostra pergamena all’interno della bottiglia o barattolo
  • chiudiamo il tappo

Ecco pronto il nostro messaggio in bottiglia per il papà,

chissà che sorpresa nel vedere il nostro messaggio!!!

CON QUESTA ESPERIENZA ABBIAMO:

  • Sviluppato la creatività
  • Esercitato il pregrafismo
  • Esercitato la manualità

Un Porta Chiavi per Portarmi con te

I nostri papà sono sempre presi tra il lavoro, gli impegni, ma ci vogliono anche tanto bene.  E noi possiamo fare loro un bel regalo con le nostre mani che potranno portare con loro ovunque vanno.

Età consigliata: 4/5 anni

Occorrente:

  • Pasta di sale o pasta da modellare che si essicca all’aria
  • 1 chiusura o moschettone per portachiavi O un cordoncino che avete in casa
  • 1 pezzetto di filo trasparente o un filo di lana
  • 1 bastoncino
  • Tempere
  • Pennellino e pennello

Mettiamoci all’opera

  • Modellare una pallina di pasta di sale o pasta da modellare e schiacciarla con il palmo della mano in modo da formare un disco.
  • Fare un buco nella parte superiore del disco (si può usare un bastoncino).
  • Lasciare asciugare.
  • Dipingere il disco. Lasciare asciugare.
  • Dipingere un disegno e lasciare asciugare.
  • Annodare il disco al portachiavi o al moschettone con un pezzo di filo trasparente.

In assenza del filo trasparente o del porta chiavi potete creare un piccolo nodo con un filo di lana o una cordoncina che avete in casa.

E il vostro porta chiavi è pronto!!!!

CON QUESTA ESPERIENZA ABBIAMO:

•   giocato con la nostra creatività

•  esercitato la manualità    


Un Barattolo delle sorprese per il mio Papà

I gesti di cura si compiono all’interno della relazione e si accompagnano con la ricerca dell’altro, l’ascolto, la delicatezza.

Occorrente:

  • un barattolo col tappo
  • carta bianca
  • cartoncini colorati
  • colori (pastelli, tempere, matite, pennarelli a seconda dell’età e del gradimento),
  • colla
  • forbici
  • oggetti «preziosi»
  • elementi naturali. 

Mettiamoci all’opera

Il barattolo può contenere tutto ciò che «risuona» nel cuore dei bambini e che merita una scelta fatta con cura. Si possono lasciare dei messaggi creati con i segni sul foglio e poi ripiegati, come anche impronte di teneri baci lasciate sulla carta, e ancora dei piccoli collage con i pezzi di cartoncino colorati e tanta fantasia.

Alcuni degli oggetti «preziosi» per i bambini possono essere rappresentati dagli elementi naturali reperibili in casa e in giardino come fiori, rametti, foglie, sassi, conchiglie, tappi, e altri piccoli oggetti.

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Sapo Miel: la Saponetta Naturale

Età

Dai 16 mesi in su 

Obiettivi pedagogici

Diversificati in base alle fasce d’età. Nei bambini molto piccoli consente l’approccio con materiale naturale (sapone, limone, zenzero, miele), da scoprire, da percepire con tatto, olfatto e vista. 

I bambini più grandi possono esplorare come cambiano le caratteristiche fisiche del sapone, quando diviene liquido, a contatto con l’acqua bollente, per poi tornare solido raffreddandosi gradualmente.  

La preparazione della saponetta consente al bambino “ricercatore” di osservare la trasformazione dei materiali, favorendo la scoperta delle prime reazioni chimiche. 

I bambini più grandi, in presenza di un adulto possono preparare il sapone in autonomia. È quindi un’attività che può essere svolta da fratelli di età diverse.  

Nota importante: da preparare sempre in presenza dell’adulto 

Occorrente

  • 120 gr. di sapone in scaglie (è possibile recuperare le saponette usate presenti in casa);
  • 90 gr. di acqua;
  • 40 gr. di miele;
  • zenzero in polvere a piacere
  • gocce di limone a piacere;
  • una caraffa di vetro;
  • un pentolino;
  • un cucchiaio di legno;
  • stampini.

Descrizione

Il sapomiel ha un profumo delicato di miele, ha una consistenza morbida ed è perfetto per le pelli delicate di mamme e bambini. 

Far bollire un minuto 90 gr. di acqua con il miele, lo zenzero e qualche goccia di limone. Versare il liquido in un contenitore e aggiungere il sapone a scaglie. Porre il contenitore in una pentola con acqua bollente e far sciogliere lentamente il sapone a bagnomaria. Quando le scaglie di sapone si sono sciolte, mescolare bene e versare il contenuto in contenitori o stampini posti su un tagliere e lasciar raffreddare. Ecco pronti i vostri sapomiel!  


Nuvole e Pioggia

La meraviglia della scoperta scientifica attraverso l’osservazione ed il racconto familiare pieno di affettività. Ciò rafforza la conoscenza del mondo, suscita la curiosità e l’immaginazione, orienta alle scienze”.     

 
Occorrente

  • un vasetto trasparente 
  • la schiuma da barba 
  • acqua 
  • colore alimentare blu 
  • contagocce o cucchiaino  

Ecco come emozionarsi insieme creando nuvole e pioggia:

Si riempie il vasetto d’acqua fin quasi al bordo, successivamente si cosparge con abbondante schiuma da barba: fermiamoci ad osservare il cielo ed una grande e morbida nuvola spumosa! Che cosa ci trasmette? Cosa ci ricorda? Si può anche scorgere cosa si vede attraverso il vetro, sono tanti i particolari interessanti. 

Ed ora con il contagocce facciamo cadere delicatamente alcune gocce di colorante al di sopra della nuvola: ecco la pioggia e le scie di colore!  

Lasciandosi trasportare dalla semplice osservazione i bambini possono scoprire il mondo. Che magica scoperta.  

I bambini più grandi potrebbero chiedersi il perché. Come mai è accaduto questo processo scientifico? Le gocce, più pesanti della nuvola, sono penetrate e cadute.  

Variante

Si possono creare effetti diversi utilizzando più colori alimentari, per prolungare il divertimento e l’esplorazione dell’esperienza si possono “far cadere” sopra la nuvola altri materiali come i brillantini, le stelline, i lustrini, la carta colorata: lasciandosi trasportare dalla fantasia si può osservare che mentre i materiali più leggeri non riescono ad oltrepassare la nuvola, i materiali più pesanti si depositano sul fondo del barattolo più velocemente. Per aumentare la velocità della “caduta” i diversi materiali vanno lasciati “volare” dall’alto da una distanza maggiore rispetto al vasetto, viceversa per una discesa più lenta basta avvicinarsi all’estremità della nuvola. E chissà quante altre scoperte da osservare!        

Colla Naturale

Età

Dai 9 mesi in su 

Obiettivi pedagogici 

Diversificati in base alle fasce d’età. Nei bambini molto piccoli consente l’approccio con un materiale naturale, da scoprire, da percepire con tatto, olfatto, vista e gusto. Contemporaneamente permette al bambino piccolo di lasciare le prime tracce su un foglio. A tal fine l’uso di una base di supporto, di colore nero o blu, gli consente una facilitazione nell’osservazione delle tracce lasciate poiché la colla mantiene un colore bianco. 

I bambini più grandi (15/24 mesi) possono esplorare le proprietà della colla staccando ed attaccando il materiale. Questo gioco favorisce anche la concentrazione e la coordinazione oculo-manuale.  

La preparazione della colla consente al bambino “ricercatore” di osservare la trasformazione dei materiali, favorendo la scoperta delle prime reazioni chimiche. 

I bambini più grandi, in presenza di un adulto possono preparare la colla in autonomia. Il gioco è conseguentemente proponibile per favorire la peer education tra fratelli di età diverse. 

Occorrente

  •  Acqua bollente (500 ml)
  • aceto bianco (1 cucchiaio)
  • sale fino (1 cucchiaino)
  • amido di mais (150 gr) 

Descrizione 

Versare in un contenitore 1 cucchiaio di aceto, 1 cucchiaino di sale, 125 gr. di amido di mais, 500 ml di acqua bollente. Girare piano con un cucchiaio e con l’aiuto di un setaccio togliere ogni grumo. Far raffreddare la colla e poi utilizzarla.  

Questo materiale attacca molto bene la carta, non gocciola, è atossica e solubile in acqua. Si può conservare in un barattolo a temperatura ambiente. 


Dipingo con le Bustine del The

Dai 2 anni in su.  

Un’esperienza multisensoriale e cognitiva è data dalla pittura con le bustine di the e tisane grazie alle quali si crea un effetto acquarello sorprendente. Grazie all’aceto e al bicarbonato si possono variare le tonalità dei colori. 

Obiettivi pedagogici:  

è una attività che favorisce sia un approccio sistematico e sperimentale alla scienza sia i sensi: il tatto, la vista, l’olfatto e, perché no, il gusto, implementando lo sviluppo emotivo ed estetico-creativo. 

Occorrente

  • Bustine di the e tisane di diverso tipo corrispondenti a colori diversi 

(the nero, the verde, tisane al lampone per il rosa, ai frutti di bosco o al mirtillo per il blu, alla pesca per l’arancione, alla menta per il verde, … 

  • Acqua 
  • Cartoncino bianco 
  • Mani o pennelli 
  • Pasta da infilare 

Attività 

Iniziate l’attività chiedendo al bambino di scegliere le bustine annusandole; ponete il cartoncino di fronte alla vostra/o bimba/o. Bagnate le bustine usando uno spruzzino o immergendole ognuna in un bicchiere con poca acqua. 

A questo punto i bambini vedranno il colore fuoriuscire dalle bustine e si divertiranno a strizzarle, trascinarle sul foglio di carta e a provare dipingere il cartoncino con l’acqua colorata. 

Aggiungendo qualche goccia di aceto il colore diverrà più chiaro, con un pizzico di bicarbonato il colore diviene più scuro. Ai bambini più grandi è possibile proporre di utilizzare il colore per colorare anelli di pasta nelle diverse sfumature realizzate. Occorre immergere la pasta nei diversi bicchieri e lasciarla a bagno per circa 5 minuti. Dopo averla colata ed asciugata, riporla in contenitori differenti in base al colore. Il bambino può arrivare a realizzare serie alternate o contigue di pasta, attraverso esperienze di infilo e sfilo, arrivando a realizzare una lunga collana. 


Magie di Luce

Età

Dai 2 anni in su

Obiettivi pedagogici

Favorire l’osservazione dei fenomeni naturali, la concentrazione, la capacità di cogliere somiglianze e differenze e, con il crescere dell’età, la possibilità di rilevare i fenomeni di causa ed effetto, attiva l’immaginazione, permette al bambino di conoscere la luce, che è intangibile e immateriale e le ombre. La scoperta della luce è una prima forma di ricerca nel mondo della fisica.

Occorrente

  • tubi di carta da bucare con stuzzicadenti
  • tubi colorati, colapasta bucati
  • contenitori per ricotta
  • centrini
  • fogli con buchi di forme e dimensioni diverse.

Descrizione

Creare un ambiente oscurato (non buio), dare al bambino una torcia a lieve intensità luminosa, offrirgli l’opportunità di osservare come cambia la luce e la dimensione delle forme proiettate, in base alla vicinanza o alla lontananza dalla torcia. Fornire al bambino uno per volta, vari strumenti da scoprire, quali tubi, coni bucati, colapasta…

Il bambino potrà inserire in essi la torcia e coglierne gli effetti creati. La luce cambia intensità, cambia forma, produce ombre, disegni.

Se il bambino è fortemente concentrato sul movimento permettetegli di scoprire la luce muovendosi nello spazio, proiettando la torcia a pavimento o sul muro.

Acqua che Cammina

E

Dai 2 anni in su

Occorrente

  • 9 bicchieri trasparenti;
  • acqua;
  • colorante alimentare giallo, blu e rosso;
  • n. 6 fogli di carta da cucina.

Attività

Facendovi aiutare dai vostri genitori prendete i bicchieri e divideteli in 3 file da 3,

versate l’acqua nei bicchieri posti alle estremità lasciando vuoto il bicchiere in mezzo,

Attenzione:

nella prima fila versate il colorante giallo a sinistra e il rosso a destra;

nella seconda fila il colorante giallo a sinistra e blu a destra;

nella terza fila il colorante rosso a sinistra e blu a destra.

Attorcigliate la carta da cucina andando a formare delle piccole corde e inseritene 2 pezzi per ogni fila in modo che le estremità vadano in un bicchiere con l’acqua e in quello vuoto.

Ora bisogna aspettare circa 8 ore…

Una volta trascorso il tempo indicato noterete che l’acqua ha “camminato” andando a riempire anche il bicchiere vuoto centrale ( svuotando parzialmente gli altri) , ma non solo, i colori si sono mischiati generandone di nuovi:

GIALLO + ROSSO = ARANCIONE

GIALLO + BLU= VERDE

ROSSO + BLU = VIOLA

Questo è un esperimento semplicissimo da realizzare e super colorato. Ha un doppio vantaggio, da un lato i bambini resteranno affascinati nel vedere riempirsi il bicchiere vuoto, e dall’altro è un ottimo strumento per spiegar loro come si possono combinare tra di loro i colori e quali risultati generano.

I Colori Spumeggianti

Età

Dai 2 anni in su

Obiettivi pedagogici

Favorisce un approccio sistematico e sperimentale alla scienza, ricorrendo all’immaginazione e alla suggestione.

I bambini possono giocare sperimentando attraverso il tatto, la vista, l’olfatto, l’udito favorendo lo sviluppo emotivo ed estetico-creativo.

Occorrente

Bicarbonato di sodio, aceto di mele o di vino (possibilmente bianco), colorante alimentare, una superficie dove sia possibile sporcare o una lavagna luminosa costruita in modo casalingo con una scatola trasparente (contenitori di qualsiasi tipo) luci led (vanno bene anche quelle di Natale)

Descrizione

Riempite dei bicchieri con il bicarbonato in quantità diverse in modo che reagisca con più o meno intensità.

Lasciatelo fare ai vostri bimbi, potranno saggiarne la consistenza e sentirne l’effetto sulla pelle.

Una volta riempiti i bicchieri con il bicarbonato aggiungete un po’ di colorante alimentare e mescolate le polveri, dopodiché versate l’aceto in modo da creare una effervescente eruzione di colore. Vedrete che meraviglia! Una volta finito l’effetto sorpresa potete giocare con il liquido creato, utilizzandolo per decorare teli bianchi, cartoncini,  sia con le mani che con spugne, cucchiai, colini o timbri realizzati con gli  oggetti che potrete trovare nelle vostre cucine.

Coloranti alimentari naturali fai da te: polvere di curcuma, di peperoncino o di paprika, acqua di spinaci o il prezzemolo, la barbabietola rossa, il tè, ecc….


Il Ghiaccio Colorimato

Età

Dai 2 anni in su

Obiettivi pedagogici

Favorisce un approccio sistematico e sperimentale alla scienza, ricorrendo all’immaginazione e alla suggestione. I bambini possono giocare sperimentando attraverso il tatto, la vista, l’olfatto, l’udito, il gusto favorendo lo sviluppo emotivo ed estetico-creativo.

Occorrente

Curcuma (rappresentata nella fotografia illustrativa), acqua, contenitore per il ghiaccio. Oltre alla curcuma è possibile utilizzare rosmarino (fresco o in polvere), lavanda (fresca o in polvere), fragole frullate, paprika in polvere, sugo di pomodoro, pesto o basilico fresco frullato.

Descrizione

Riempite diversi bicchieri con acqua e ciascun ingrediente prescelto.

Lasciatelo fare ai vostri bimbi, potranno sentire i diversi profumi e allenare la motricità fine, la coordinazione oculo manuale e la “presa a pinza” (pollice/indice) nel prendere quantità piccole di acqua con il cucchiaino per travasarle nel contenitore portaghiaccio.

Ponete il contenitore in freezer. Una volta ghiacciato il contenuto, fatelo tirare fuori dai bambi che potranno sperimentare il cambiamento di consistenza del materiale, da liquido a solido, assaggiarlo, prima e dopo e volendo utilizzare i cubotti di ghiaccio per dipingere delicati acquarelli e in tal modo sentirli nuovamente tornare liquidi grazie al calore sprigionato dalle proprie mani.


Video: Magia


Video: Inserisci i Pennarelli

Video: Il Puzzle

Puzzle a suon di musica. Il puzzle è una attività STEAM* che sveglia la mente. Sviluppa nel bambino le capacità cognitive, la concentrazione, le abilità spaziali. Attraverso la composizione delle tessere, il bambino interagisce con il genitore e viceversa avendo come obiettivo la soluzione del gioco. Partiamo con puzzle composti da due tessere per bambini dai 18 mesi che mano a mano diventano più complessi. È un gioco che potete costruire voi con cartoncino, matita e forbici.


Video: Costruiamo un Gioco di Abilità


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Video: Il lupo cambia colore


Il Libro delle Coccole

Le figure affettivamente significative rassicurano il bambino e rappresentano una «base sicura». Il patrimonio familiare richiama il mondo delle emozioni, il ricordo dei piccoli e teneri gesti, il suono caldo delle voci, il vissuto delle esperienze affettive

Occorrente

Foto di famiglia, bustine di plastica trasparenti, colla e forbici, il supporto per fissare le foto (spugne colorate di forma quadrata, carta crepla o cartoncini colorati), nastri, fili, strisce di stoffa per allegare le pagine, carta colorata, brillantini, pennarelli, tempere e tutto ciò che occorre per decorare il libro.  

Indicazioni

Si possono scegliere le foto insieme ai bambini, lasciandosi trasportare dai racconti, i ricordi, le emozioni, il calore offerto dalla vicinanza affettiva. Il libro può diventare un canale per coinvolgere i propri cari durante la raccolta delle foto.  

Variante

Si possono creare i libri scegliendo e ritagliando le immagini sui giornali o cercandole su Internet. Seguendo gli interessi dei bambini può nascere il libro della cura, degli animali, del cibo e…. mille altri ancora.


Video: La Favola di Asinello Tato e Etcciuuu


Video: Leggiamo un Libro

Letture Consigliate

Ecco alcuni libri consigliati da condividere con i bambini.

  • “Achille  il puntino” di Guia Risari e Marc Taeger – Edizione Kalandraka
  • “Storia piccola” di Cristina Bellemo e Alicia Baladan – Edizioni Topipittori
  • “Il volo della famiglia Knitter” di Guia Risari e Anna Castagnoli – Edizioni Boheme
  • “Ombra” di Suzy Lee – Edizioni Corraini
  • “Il bimboleone e altri bambini” di Gabriele Clima e Giacomo Agnello Modica- Edizioni Corsare
  • “Uno come Antonio” di Susanna Mattiangeli e Maria Chiara Di Giorgio – Editore il Castoro
  • “La pantera sotto il letto” di Andrea Bajani e Mara Cerri – Edizione Orecchio Acerbo
  • “Questo posso farlo” di Satoe Tone – edizioni Feltrinelli
  • “Chiedimi cosa mi piace” di Bernard Waber – Casa Editrice Terre di Mezzo editore
  • “Due ali” di Cristina Bellemo e Maria Chiara Di Giorgio – Editore Topi Pittori
  •  “Museo delle foglie cadute” – di A. Catalano – Artebambini
  • “Zagazoo” di Quentin Blake – ed. Camelozampa
  • “Posso guardare nel tuo pannolino” di Guido Van Genechten – Clavis Editore
  • “I tre piccoli gufi” di Martin Waddel – Mondadori Editore
  • “A caccia dell’orso” di Michael Rosen – Mondadori Editore
  • “Piccolo Blu e piccolo giallo” – di Leo Lionni – Edizione Babalibri
  • “Federico” – di Leo Lionni – Edizione Babalibri
  • “Il piccolo bruco mai sazio” – di Eric Carle – Edizione Mondadori
  • “Papà mi prendi la luna” – di Eric Carle – Edizione Mondadori Editore
  • “Il ciuccio di Nina” di Christin Naumann Villemin – Edizioni il Castoro
  • “Sulla collina” – di Linda Sarah, Benji Davies – Eizioni Giralangolo
  • “Akiko e il palloncino”di Komako Sakai – Edizione Babalibri
  • “Il piccolo ragno tesse e tace” di Eric Carle – Edizione Mondadori Editore
  • “Nel paese dei mostri selvaggi” di Maurice Sendak – Edizioni Babalibri
  •  I libri di Bruno Munari: “Zoo” – “Il mare come artigiano” – “La nebbia di   Milano”, ”Disegnare un albero”, “Disegnare il sole”
  • “Elmer, l’elefante variopinto” di David McKee – Edizione Mondadori Editore
  • “Il palloncino rosso” – di Lela Mari – Edizioni Babalibri
  • “Colori” di Helve’ Tullet- Edizioni Franco Cosimo Panini
  • “Un libro che fa suoni” di Helve’ Tullet- Edizioni Franco Cosimo Panini
  • “Il buco” di Anna Llenas- Edizioni Gribaudo
  • “Che rabbia” di Mireille d’Allancè – Edizioni Babalibri

Per approfondire: https://www.coopeureka.it/lettura-condivisa/


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Scoperta e esplorazione, giochi storie, tesori e passioni


Il Cestino dei Tesori

Laboratorio rivolto a bimbe e bimbi dai 6 mesi.

Il cestino dei tesori: un’esperienza di scoperta ed esplorazione per i bimbi piccoli che si può proporre  anche a casa.  Ecco come farlo.

Il cestino dei tesori è stato ideato da Elinor Goldschmied,  psicopedagogista britannica,

per proporre un’attività di scoperta e concentrazione ai bambini dai 6 ai 12 mesi. In questo periodo il bambino è particolarmente curioso ed esplora attentamente tutto il mondo circostante. Inizia ad afferrare gli oggetti, a portarli in bocca e a studiarli. Inizia ad osservare ed assimilare tutti gli stimoli che l’ambiente ha da offrirgli.

Il cestino dei tesori offre a bambine e bambini la possibilità di esplorare e sperimentare sviluppando tutti e cinque i sensi, a sviluppare connessioni per poi fare uso delle informazioni raccolte e scoprire tanti oggetti, per lui nuovi e misteriosi, che stimoleranno la sua curiosità.

Il cestino non deve avere un diametro inferiore ai 35 cm e 10-12,5  cm di altezza, essere preferibilmente di vimini, a fondo piatto e senza manici in modo che il bambino possa curiosare comodamente al suo interno.

Riempire il cestino fino al bordo di oggetti ed assicurarsi che il bambino sia comodamente seduto.

Il cestino deve contenere oggetti che non siano di plastica :

Oggetti naturali (pigne, conchiglie, grossi ciotoli, pietra pomice, castagne, una mela, un limone, una grossa noce, un nocciolo di avocado, piume, tappi di sughero di grandi dimensioni…)

Oggetti di materiali naturali (palla di lana, calzascarpe di osso, pennello da barba, spazzolino da denti….)

Oggetti di legno (sonagli, nacchere, mollette da bucato, grosso anello da tenda, portatovagliolo, cucchiaio, ciotolina…)

Oggetti di metallo (cucchiai, frusta da cucina, mazzo di chiavi, formine per dolci, portachiavi, campanelli, colino per il tè, coperchi di metallo…)

Oggetti in pelle, tessuto, gomma, pelo (borsellino di pelle, tappo della vasca da bagno, palla da tennis, palla da golf, piccolo peluche, sacchettini di tessuto con lavanda, rosmarino…)

Oggetti di carta (carta oleata, scatolette, cilindri di cartone della carta da cucina…)

Questi oggetti permetteranno al bambino

Un bambino alle prese con il cestino dei tesori svolgerà diverse azioni: guardare, toccare, afferrare, succhiare, scuotere……

La concentrazione del bambino sugli oggetti del cestino può durare fino ad un’ora.

Per approfondire la conoscenza del Cestino dei Tesori, consiglio la lettura dello splendido libro di Elinor Goldschmied: Persone da 0 a 3 anni.

Un Barattolo delle sorprese per il mio Papà

Speciale Festa del Papà 2020

I gesti di cura si compiono all’interno della relazione e si accompagnano con la ricerca dell’altro, l’ascolto, la delicatezza.

Occorrente:

  • un barattolo col tappo
  • carta bianca
  • cartoncini colorati
  • colori (pastelli, tempere, matite, pennarelli a seconda dell’età e del gradimento),
  • colla
  • forbici
  • oggetti «preziosi»
  • elementi naturali. 

Mettiamoci all’opera

Il barattolo può contenere tutto ciò che «risuona» nel cuore dei bambini e che merita una scelta fatta con cura. Si possono lasciare dei messaggi creati con i segni sul foglio e poi ripiegati, come anche impronte di teneri baci lasciate sulla carta, e ancora dei piccoli collage con i pezzi di cartoncino colorati e tanta fantasia.

Alcuni degli oggetti «preziosi» per i bambini possono essere rappresentati dagli elementi naturali reperibili in casa e in giardino come fiori, rametti, foglie, sassi, conchiglie, tappi, e altri piccoli oggetti.


Scatole Anti Noia

Le scatole anti-noia in pratica sono una variante del cestino dei tesori che funziona anche quando i bambini sono grandi. Sono scatole che contengono piccoli giochi e oggetti di uso diverso. A differenza del cesto dei tesori questi sono materiali strutturati, che stimolano un gioco meno esplorativo ma più di relazione: giochi con me? Come si usa questo? Guarda cosa fa il cagnolino!

Sono oggetti e personaggi che invitano a inventare storie, costruire dialoghi, ma nelle mani di un bambino diventano occasioni per giocare: giochi di equilibrio, famiglie di pupazzi, trasposizione di storie già lette o viste nei relativi cartoni animati. Un gioco strutturato come un personaggio diventa gioco neutro per il solo piacere di inventare.

All’interno delle scatole anti-noia potete mettere:

  • personaggi in miniatura
  • portachiavi
  • trottole
  • mollette
  • braccialetti: promozionali, fatti a mano, con gli elastici
  • giochi per le dita come i miniskate, le marionette da dita
  • accessori dei playset: segnali stradali, mini spazzole, scarpe dei personaggi
  • monete di altri paesi
  • oggetti curiosi come: mini caleidoscopio, mini torcia, bussola.

Video: Il Cannocchiale di Galileo


Video: La Macchina Fotografica


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Gioco simbolico tra realtà e fantasia, luogo sicuro per rivivere emozioni, immaginando di superare limiti e paure, liberi dal giudizio


Video: Cucù settete dai 10 mesi


Caccia all’Uovo – Pasqua 2020

Età

Dai 2 anni in su.

Per prima cosa occupiamoci di preparare tante uova colorate.

Occorrente

  • uova sode con guscio

Per la decorazione potete optare tra:

  • carta colorata per incartare ogni uovo e nastro
  • colorarle voi con tempere, acquerelli, brillantini
  • utilizzare i coloranti naturali.

Coloranti naturali

Bucce di cipolla bionda, bucce di arancia o limone, ciuffi di carota, curcuma, per il giallo-arancio.

Foglie di cavolo rosso per l’azzurro.

Barbabietole, buccia di cipolla rossa per il rosso.

Spinaci/erbette per il verde.

Mirtilli per il viola.

Chicchi di caffè per il marrone.

Preparazione

Bollite le uova, facendovi aiutare dalla mamma (ponetele in un pentolino capiente e copritele con acqua fredda, mettete il pentolino sul fuoco e portate a bollore. Dal bollore calcolate 10 minuti di cottura. Spegnete e fate raffreddare sotto acqua corrente fredda)

Incartate o colorate le uova. Sbizzarritevi a personalizzarle come più vi piace!

Una volta che le nostre uova saranno pronte si può procedere organizzando una divertente CACCIA ALLE UOVA!

La caccia alla uova di Pasqua è una tradizione che viene dal Nord Europa. Organizzarne una è davvero semplice e i vostri bambini ne saranno entusiasti! Non solo, anche voi potrete avere un po’ di tregua per un paio d’ore mentre loro saranno occupati nella caccia!

Occorrente per la caccia

Un paio di stanze da “sacrificare” allo scopo o il giardino, se avete la fortuna di possederne uno; un cestino a bambino ( un qualsiasi contenitore va bene!), tante, tante uova colorate!

Attività

Posizionare le uova nei nascondigli che avete predisposto scegliendoli di vari livelli di difficoltà, così tutti i bambini (anche quelli più piccoli) avranno la possibilità di giocare e di divertirsi.

Le uova che nasconderete possono essere di diverse tipologie: uova vere colorate da voi o avvolte con carta colorata, insieme a ovetti di cioccolato…

Istruzioni:

Comunicate il numero di uova da trovare;

Per i bambini più grandi, potete organizzare una vera e propria caccia al tesoro con degli indizi e indovinelli che dovranno di volta in volta risolvere per trovare l’uovo successivo. I bambini quando troveranno le uova dovranno porle nel cestino, che vi porteranno quando le avranno trovate tutte.

Sui premi in palio avete carta bianca: giocattoli, uova di Pasqua grandi, dolci…quello che volete!

Concludiamo con un consiglio: se non volete passare la serata a cercare le uova che i bambini non hanno trovato e di cui voi avete dimenticato il nascondiglio, fatevi una mappa o una lista dei nascondigli scelti. Eviterete di impazzire nella ricerca dell’uovo perduto!


Cucù Setteteeee

Età consigliata

Fin dai primi mesi di vita

Il bambino crede che l’oggetto, una volta tolto dalla sua vista, smetta di esistere. Grazie al gioco del cucù  o bubuuu? settete! il bambino, si prepara ad allontanarsi dalla mamma e impara che l’adulto, anche se non lo vede, esiste ancora e lo vedrà più tardi.

  1. La mamma, o il papà, si mette le mani davanti agli occhi e dice “cucù?”
  2. Dopo qualche istante abbassa le mani dicendo “ setteteee!”
  3. Mano a mano che il bambino cresce, si ripete il gioco aspettando che provi a togliere le mani dalla faccia della mamma o del papà,
  4. L’adulto si mette davanti agli occhi oggetti sempre più grandi: giornale, fazzoletti, libri….
  5. Infine copre l’intera figura nascondendosi dietro un angolo (dietro la porta, dietro un mobile, …)

Lava e Stendi i Panni

Il gioco simbolico è un’attività di finzione che ripropone la vita reale. È importante perchè aiuta i bambini a rappresentare mentalmente persone e oggetti. È lo strumento conoscitivo ed espressivo attraverso il quale il piccolo apprende il mondo che lo circonda.

Età

Dai 2 anni in su

Occorrente

2 Vaschette o Bacinelle per i panni 

Stoffe, asciugamani, vestiti, calzine…

Sapone neutro

Stendibiancheria o corde

Mollette da bucato

Attività

Con l’aiuto di un adulto, riempite d’acqua, (meglio se tiepida) le due vaschette.

In una aggiungete un po’ di sapone neutro e… immergete, uno alla volta i vestitini o le stoffe che avete deciso di lavare. Strofinate ben bene più e più volte.   

Per sciacquare i capi lavati, immergeteli nell’altra vaschetta dove ci sarà solo acqua.

Aprite lo stendibiancheria oppure tirate una corda fissandola a due capi sicuri e resistenti strizzate forte forte e.. con l’aiuto delle mollette.. “ stendi i panni, stendi i panni”

OBIETTIVI PEDAGOGICI: 

  • Sviluppare la capacità di osservazione e di imitazione.
  • Favorire l’espressività corporea legata alla gestualità e alla mimica.
  • Il bambino si avvicina al mondo degli adulti attraverso il gioco. Cresce sia dal punto di vista cognitivo, sia per quanto riguarda la sfera sociale, sia per ciò che concerne l’aspetto affettivo

La Scatola dei Travestimenti

Ai bambini piace molto travestirsi o far finta di essere… questo gioco molto semplice può essere un bel passatempo.

In una scatola o un cesto, raccogli tutto ciò che può servire a fare dei piccoli giochi di ruolo.

Una vecchia parrucca di carnevale, un mantello, una camicia da notte, un cappello, un paio di occhiali: pescate insieme da lì dentro, e inventa per il bambino delle storie di cui tu e lui siete i protagonisti.


La Tana

Gioco solo in apparenza banale, l’arte del costruire nascondigli è qualcosa che arriva da molto lontano e risponde a un bisogno primario dei bambini.

La tana è un luogo altro, dal forte valore simbolico, che consente di tracciare un confine tra sé e gli altri e partecipa quindi al processo di costruzione dell’identità̀ del bambino.

È un luogo personale, privato, custode della vita segreta dei piccoli. Solo poche persone possono accedervi e, rigorosamente, solo dopo aver chiesto il permesso.

Basta veramente poco: i cuscini del divano, vecchie lenzuola e un buon numero di mollette da bucato vanno benissimo per cominciare. Alcuni scatoloni e materiali di recupero aiutano a dare libero sfogo alla fantasia.

Progettare un fortino nascosto, o una casetta per prendere il tè con le bambole, alimenta creatività e capacità di problem solving. Lo spazio-casa viene pensato, immaginato e poi realizzato con quello che c’è.

Un suggerimento per l’adulto? Essere una presenza non controllante, capace di lasciare spazio al pensiero progettuale del bambino, senza prevaricarlo, ma fornendo aiuto e materiali quando richiesto.


Video: Cucù. Dai sei mesi in su!


Video: Batti Batti le Manine

Le filastrocche spesso sono antiche e sono state tramandate nel corso dei decenni per arrivare fino a noi perché aiutano a consolidare il rapporto tra la mamma e il neonato e, grazie al ritmo e alle rime sono divertenti, stimolano il linguaggio, le abilità motorie, le capacità cognitive e di memorizzazione. I genitori possono cantare le filastrocche già nel pancione e proseguire fino alle elementari recitando filastrocche via via sempre più complesse.


Le Carte Racconta Storia

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Esplorazioni sensoriali libere, curiose e giocose per immergersi nel mondo


Pannello Sensoriale

Grazie al pannello sensoriale il bambino è impegnato in un’attività di esplorazione dei sensi e di stimolazione della concentrazione.  Può essere utilizzato già con i bambini molto piccoli. Ponendo il pannello sul pavimento il bambino potrà strisciare e quindi stimoleremo anche la sua motricità. 

Occorrente

  • una base di cartone abbastanza rigido; 
  • coperchi delle salviettine (apri/chiudi); 
  • colla;
  • materiali di varie forme, colori e consistenza e accessibili alle diverse età dei bambini: carte dei cioccolatini, carta stagnola o da imballaggio, pom pom, pezzi di stoffa, ecc.

Attività

Prendere una base in cartone, incollare il materiale scelto all’interno dei vari coperchi. 

Dopo averlo creato, lasciare il bambino libero di esplorare, giocare e scoprire i vari materiali proposti. 

Cerchio Sensoriale Montessori

Questa attività pensata per i bambini, a partire dai 5 mesi di vita, permette di sviluppare la motricità e la curiosità del bambino  che, sdraiato prono davanti al cerchio o al bastone sensoriale proverà ad avvicinarsi agli oggetti, a toccarli, a metterli in bocca e molto altro; tutto ciò spingerà il bambino al movimento e all’esplorazione dell’oggetto. È un’attività utile nei primi mesi di vita, perchè lo strisciare, l’afferrare, l’esplorare sono tappe fondamentali per lo sviluppo e la crescita.

Occorrente

  • un palo della scopa, un bastone o se l’abbiamo un hula hop;
  • filo di lana;
  • spago;
  • mestoli, spugne, pompom, cucchiai, anelli delle tende, nastrini colorati, carta da imballaggio, pupazzi, strofinacci, ecc…

Attività

Prendere il bastone e rivestirlo di stoffa o di la lana, in modo da renderlo morbido e colorato. Appendere al bastone gli oggetti scelti, utilizzando lo spago in modo che il bambino sia attratto da forme, colori e oggetti diversi tra loro.

Porre il bambino di fronte al bastone e lasciare che si muova ed esplori liberamente.

La Scatola Magica

Età

Dai 12 mesi in poi.

Prendete una scatola, di cartone, di latta, e disponetevi una serie di quegli oggetti che normalmente non permettiamo ai nostri bambini di usare per la loro fragilità, per la potenziale pericolosità o perché ci dispiace se si rompono: oggetti di cristallo o brillanti, oggetti particolari, minerali o oggetti che attirano l’attenzione del bambino.

Quando l’adulto decide di proporre questo gioco, è necessario mettersi seduti comodi, invitando ad un momento di tranquillità e calma.

Dedicare un momento della giornata o della settimana a permettere al bambino di osservare, toccare e tenere in mano uno alla volta, gli oggetti che lo contengono, rappresenta un momento di condivisione ludica ed emotiva tra l’adulto che soddisfa la richiesta di curiosità del bambino il quale a sua volta gode di un momento eccezionale in cui si sente legittimato nell’esplorare oggetti sconosciuti o conosciuti ma a lui non concessi.

I Sacchetti Olfattivi

Età dai 12 mesi in su

Insieme raccogliete all’interno di sacchetti uguali abbinati a due a due, del materiale da annusare come ad esempio salvia, rosmarino, menta, aglio, cipolla, lavanda, camomilla, chicchi di caffè, cacao, cannella, baccelli di vaniglia o quello che si ha a disposizione purché abbia un odore (non importa se dolce o pungente, forte o delicato, gradevole o sgradevole).

Il gioco consiste nel far annusare ai bambini l’odore, descrivere il tipo di odore sentito, cercare il sacchettino con il medesimo odore e in seguito verificare se il bambino ha indovinato, controllando il contenuto dei sacchettini abbinati.

L’adulto darà un nome al contenuto in modo tale che il bambino nel tempo imparerà ad abbinare l’odore a due parole: l’ingrediente che fa quel determinato odore e l’aggettivo che descrive la tipologia di odore.


Esperienza Sensoriale

Una scatola abbastanza larga riempita con materiali naturali, come ad esempio farina gialla, può generare delle esperienze sensoriali. Può diventare lo scenario per giocare con le macchinine, come in un percorso selvaggio. Con degli animali invece si trasforma in una fattoria.


Lavagna Luminosa

La lavagna luminosa è un’attività che aiuta a sviluppare la creatività e la fantasia dei bambini.

Occorrente

  • Una scatola di plastica trasparente con coperchio.
  • Una striscia di luci led o una lucina (es. luce notturna).
  • Cartellette colorate, fogli plastificati di varie forme e colori, formine, ecc.

Attività

Il bambino andrà lasciato libero di sperimentare, osservare, toccare, giocare andando alla scoperta di luci, ombre, forme e colori.

Giocare con i nostri bambini rende tutto più divertente e ci aiuta a riscoprire la bellezza nella semplicità.

L’attività va svolta preferibilmente per terra e in una stanza in ombra.


Indovina Indovinello

Occorrente

  • scatola di cartone
  • oggetti di varie dimensioni e consistenza
  • benda per occhi

Variazioni sul tema

Si può utilizzare comodamente anche un cestino se in casa non si hanno scatole di cartone

Si possono usare altresì cibi commestibili da far assaggiare oppure oggetti particolarmente profumati che stimolano l’olfatto (saponette, fiori secchi, spezie etc..); in questi due ultimi casi si andranno quindi a sollecitare due sensi differenti oltre al “semplice” tatto.

Indicazioni

Prendere una scatola di cartone e ritagliarne due buchi circolari. Successivamente si inseriscono all’interno del cartone gli oggetti precedentemente pensati. Si chiede quindi al bambino di inserire le braccia all’interno dei due buchi e di indovinare gli oggetti che vi troverà dentro. Se il bambino mostra delle difficoltà è utile aiutarlo con delle semplici domande facendolo ragionare sulla forma dell’oggetto oppure sul peso oppure stimolandolo sui ricordi e sulla sua conoscenza attiva.

Si possono utilizzare oggetti già conosciuti o di uso comune oppure oggetti nuovi. Si può giocare a coppie oppure mettendo in palio un piccolo premio per chi indovina più oggetti. La benda sarà utile qualora si utilizzasse un cestino aperto.


La Vasca Sensoriale

In questo momento particolare in cui i bambini si ritrovano a dover rimanere in casa, magari anche tutto il giorno, si può ricorrere all’esplorazione sensoriale di oggetti e materiali presenti nelle nostre case. Questa è un’attività che garantisce una entusiasmante avventura alla scoperta delle novità che ci circondano. A questo proposito possono fare al caso nostro semplici utensili da cucina o oggetti di uso comune che ben si adattino all’età e alla fase della crescita dei nostri bimbi. Se però vogliamo offrire un’attività che coinvolga più sensi (o anche tutti) e garantisca un’esperienza sensoriale completa possiamo servirci delle “vasche sensoriali“.

In Italia non sono un’attività molto diffusa, ma se provate a cercare su Internet “sensory tubs” o “sensory bin” vi renderete conto delle potenzialità di questo gioco. Gli elementi fondamentali di questa attività sono un contenitore di cartone o di plastica e oggetti di varia dimensione, natura e consistenza che vengono posti all’interno del contenitore per essere liberamente esplorati. Solitamente la scelta degli elementi da riporre nelle vasche sensoriali dipende dal tema che si vuole proporre (una stagione, un colore, una festività, un elemento naturale,…).

Perché le vasche sensoriali continuino ad offrire un’interessante fonte di esplorazione e apprendimento è molto importante cambiarne il contenuto con una certa frequenza.


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Motricità fine, piccoli gesti che aiutano a crescere


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Il Sale Colorato

Età

Dai 18 mesi

Questa attività permette al bambino di sperimentare l’uso dei colori, la motricità fine e tutta la sua fantasia. 

Occorrente

  • barattolo 
  • sale 
  • pennarelli colorati 
  • bicchieri 

Attività

Dividere il sale nei bicchieri e colorarlo con i pennarelli (un colore per ogni bicchiere). Dopo che il sale avrà preso colore, possiamo versarlo nel barattolo alternando tra loro i colori come più ci piace. 

Pregrafismo Creativo

Età

Dai 3 anni in su.

Obiettivi pedagogici

Favorisce la concentrazione, la coordinazione oculo-manuale, lo sviluppo della presa a pinza (indice/pollice), attiva il pensiero laterale, l’immaginazione, permette la conoscenza delle geometrie alla base delle forme e dei segni che ci circondano.  

Occorrente

  • cartone da riciclo
  • pasta
  • colla
  • laccio da scarpe o nastro sottile 

Attività

Preparare per i bambini dei cartoncini con alcune linee semplici diritte e con linee curve, successivamente e gradualmente, aggiungere simboli di numeri e lettere. 

Incollare forme di pasta sulle linee tracciate. 

Una volta incollata la pasta, inserire il laccio da scarpe all’interno della prima forma di pasta per suggerire il gioco. 

L’attività permette al bambino di giocare, muovendo la mano e osservandone il movimento e la direzione 

Un Messaggio per Papà

Speciale Festa del Papà 2020

oggi è la tua festa e ecco un misterioso messaggio per te…

Occorrente:

  • carta
  • pennarelli o matite colorate
  • un nastro
  • una bottiglia o un barattolo
  • farina bianca o gialla o della sabbia
  • colla

Mettiamoci all’opera:

  1. prendiamo un foglio bianco non tanto grande e facciamo il disegno che ritrae noi con il nostro papà
  2. proviamo a scrivere qualcosa per il nostro papà:

        “auguri papà” “il vostro nome  & papà” “ti voglio bene papà”

Possiamo farci aiutare da un adulto se non conosciamo qualche lettera

  • arrotoliamo il disegno come una pergamena dei pirati
  • facciamoci aiutare da un adulto a legare con un nastro la pergamena
  • decoriamo la bottiglia o il barattolo con quello che vogliamo (adesivi colorati, pezzi di carta incollati, pesciolini disegnati e incollati, … )
  • mettiamo della farina sul fondo come la sabbia del mare
  • infiliamo la nostra pergamena all’interno della bottiglia o barattolo
  • chiudiamo il tappo

Ecco pronto il nostro messaggio in bottiglia per il papà,

chissà che sorpresa nel vedere il nostro messaggio!!!

CON QUESTA ESPERIENZA ABBIAMO:

  • Sviluppato la creatività
  • Esercitato il pregrafismo
  • Esercitato la manualità

Un Porta Chiavi per Portarmi con te

Speciale Festa del Papà 2020

I nostri papà sono sempre presi tra il lavoro, gli impegni, ma ci vogliono anche tanto bene.  E noi possiamo fare loro un bel regalo con le nostre mani che potranno portare con loro ovunque vanno.

Età consigliata: 4/5 anni

Occorrente:

  • Pasta di sale o pasta da modellare che si essicca all’aria
  • 1 chiusura o moschettone per portachiavi O un cordoncino che avete in casa
  • 1 pezzetto di filo trasparente o un filo di lana
  • 1 bastoncino
  • Tempere
  • Pennellino e pennello

Mettiamoci all’opera

  • Modellare una pallina di pasta di sale o pasta da modellare e schiacciarla con il palmo della mano in modo da formare un disco.
  • Fare un buco nella parte superiore del disco (si può usare un bastoncino).
  • Lasciare asciugare.
  • Dipingere il disco. Lasciare asciugare.
  • Dipingere un disegno e lasciare asciugare.
  • Annodare il disco al portachiavi o al moschettone con un pezzo di filo trasparente.

In assenza del filo trasparente o del porta chiavi potete creare un piccolo nodo con un filo di lana o una cordoncina che avete in casa.

E il vostro porta chiavi è pronto!!!!

CON QUESTA ESPERIENZA ABBIAMO:

•   giocato con la nostra creatività

•  esercitato la manualità    


Il gioco Sgrana Fagioli


Potete coinvolgere i vostri bambini nell’attività pratica dello sgranare i fagioli. È un’attività che a loro piacerà data la naturale tendenza alla minuziosità e precisione ed è uno stimolo per favorire la motricità fine.


Lo Scolapasta

Questa è l’età in cui il bambino comincia a imparare le prime regole sociali, attraverso l’imitazione, sperimenta le prime abilità fisiche (camminare, correre, manipolare); ha voglia di conoscere i suoni, i colori, la “consistenza fisica” del mondo. Ecco un’attività casalinga per abbattere la noia e divertirsi a creare con mamma e papà.

I bambini di questa età, si sa, si divertono a infilare oggetti piccoli dentro oggetti grandi e ad esercitarsi su forme e dimensioni. Uno dei più divertenti giochi da fare in casa quando piove, per esempio, è quello del “grande riccio”. Prendi uno scolapasta, capovolgilo e mostra al bambino come inserire degli spaghetti in tutti i buchini. In poco tempo avrà costruito un grande riccio di grano!


Pupazzi con Calzini Spaiati

L’arte del cucito richiama alla mente la saggezza delle nonne, i loro racconti, la cura e la lentezza di un tempo dedicato . Cucire oggi con i propri bambini significa tramandare la nostra storia familiare. E siccome i bambini imparano dagli adulti ciò che sta nel loro cuore, possono acquisire fiducia in sé stessi, grazie al dialogo e all’ascolto, “costruendo insieme”.

Si taglia il fondo della calza e si imbottisce utilizzando ciò che abbiamo in casa: cotone, gommapiuma oppure tessuto, ecc. 

Dopo aver dato forma al pupazzo con le mani si cuciono le orecchie e la coda. Infine si aggiungono i dettagli utilizzando il materiale più disparato come i bottoni, le perline, i fili colorati, i nastri, i pennarelli per tessuto. 

Non ci sono limiti alla fantasia e insieme ai bambini si possono realizzare i pupazzi, mostri e palloni per giocare.



Maschere con Materiale di Riciclo

Occorrente

Base di cartone per torte o piatti di carta, carta colorata, carta di giornale e di riviste, cannucce, tappi, retine ecc.; Forbici, scotch, colla e filo.

Dopo aver ritagliato il giornale e raccolto le immagini a piacere, sulla base della maschera si ritagliano due fori per gli occhi e per legare il filo.

Con tanta fantasia si decora la maschera col materiale trovato in casa!


Video: Travaso di Piccoli Oggetti


Video: La Spremuta di Arancia


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Wally è il mio nome di battesimo che viene spesso usato anche in contesto professionale perché qualcuno pensa che sia un cognome ed è comunque il nome che spesso bambini e genitori usano per rivolgersi a me. La cosa non mi ha mai creato problemi.

S.I.M.E.E: (Servizio di Igiene Mentale dell’Età Evolutiva)

Negli anni Settanta il comune di Milano ha istituito tali servizi in modo capillare, per ognuna delle venti zone di Milano. Ogni servizio era composto da équipe interdisciplinare con psicologi, europsichiatri, tecnici della riabilitazione (fisioterapisti-ortofonisti-psicomotricisti). Gli operatori erano in un numero variabili in proporzione alla densità della zona di appartenenza. Tutte le venti zone in cui la città era suddivisa aveva il proprio servizio. C’era un coordinamento centrale per i compiti istituzionali. Il motivo iniziale per cui erano stati istituiti era stato lo smantellamento delle scuole speciali con il conseguente inserimento dei bambini handicappati nelle normali strutture scolastiche (dall’asilo nido alle scuole primarie e secondarie). Nella città sono rimasti solo alcuni presidi centralizzati per situazioni di handicap gravissimi in cui l’inserimento non era possibile. Altro compito dei servizi è diventato poi la prevenzione, che riguardava l’individuo e gli ambienti di vita. Noi operatori abbiamo lavorato in modo capillare in collaborazione con le strutture educative per migliorarle e modificarle. In particolare l’attenzione è stata rivolta agli asilo nido che il comune di Milano aveva” ereditato” dall’ ONMI (Opera Nazionale Maternità Infanzia instituita per motivi sanitari e assistenziali dal fascismo e sciolta negli anni Settanta). Gli operatori dei S.I.M.E.E. hanno svolto un lavoro molto prezioso e incisivo in tali servizi che si sono trasformati da Assistenza in Educazione, grazie anche alla sensibilità di assessori come Carlo Cuomo che hanno sostenuto e supportato le indicazioni degli specialisti.

I Consultori Pediatrici sono stati istituiti dal Comune di Milano, in epoca poco anteriore a S.I.M.E.E. Erano distribuiti in tutta la città. Ogni asilo nido ne aveva uno con una Pediatra e un’Assistente Sanitaria, su modello ONMI. Ogni zona ne aveva un numero variabile in base alla densità della popolazione, spesso fungevano anche da Centri Vaccinali, al di fuori dei nidi. Il personale era sotto la direzione e un coordinamento centrale, come gli operatori della Medicina Scolastica e dei S.I.M.E.E. Esisteva un’ottima collaborazione fra gli operatori dei vari servizi, che interagivano attivamente sia sulle strutture sia sui singoli pazienti. In particolare il coordinamento fra il personale sanitario degli asilo nido e dei S.I.M.E.E era molto intenso. Io personalmente ero presente una volta a settimana in tutti i consultori della mia zona. Collaboravo attivamente con il pediatra e l’assistente sanitario, organizzando con loro incontri a tema rivolti ai genitori. Nell'orario della mia presenza, programmata a priori, la pediatra fissava gli appuntamenti con i casi problematici, in modo che fosse più agevole il contatto diretto e la possibilità degli interventi specialistici.